In questo articolo andremo a esaminare le principali risposte fisiologiche dell’atleta in condizioni di ipossia e di come queste conseguenze incidono sulla performance in quota, a un’altitudine diversa rispetto al livello del mare.
Introduzione
Grazie a Torricelli, Pascal, Lavoisier e John Dalton oggi abbiamo una comprensione diversa delle caratteristiche dei gas che costituiscono l’ambiente in cui viviamo; però, gli effetti deleteri sull’uomo causati dalle alte quote sono stati verificati da Bert nel tardo 1800, anche se i primi aspetti clinici si conoscevano già dal 400 a.C.
DEFINIZIONE DEL THLL O VIVI BASSO-ALLENATI ALTO
Il concetto del “Vivi Basso-Allenati Alto” nasce dalle esigenze da parte di ricercatori e allenatori, ma soprattutto di atleti, che desiderano da una parte mantenere gli effetti dell’alta intensità, ottenibili a livello del mare, e dall’altra incrementare gli effetti benefici che si possono raggiungere con l’esposizione in altitudine, ai fini del miglioramento delle competizioni di resistenza.
Facciamo una leggera distinzione tra Acclimatazione e Acclimazione.
- La prima riguarda, esclusivamente, tutti quegli adattamenti risultanti dalle modificazioni dell’ambiente naturale in cui vive l’uomo;
- nel secondo caso, si fa riferimento agli adattamenti prodotti in ambienti simulati o laboratoristici (es. microgravità).
In questa trattazione prenderemo in esame solo il primo aspetto.
CARATTERISTICHE DELL’ESPOSIZIONE ALL’ALTURA
Di seguito consideriamo brevemente alcune definizioni utili per comprendere come viene influenzata la performance in quote diverse:
- Al livello del mare (fino a 500 m): non vi sono effetti significativi dovuti all’altitudine sul benessere o sull’esercizio fisico.
- Basse Altitudini (500-2,000 m): non c’è nessun effetto sul benessere ma, la performance, potrebbe diminuire soprattutto per quegli atleti che sono abituati ad allenarsi al di sotto dei 1500 m.
- Moderate Altitudini (2,000-3,000 m): iniziano ad esserci alcuni effetti sul benessere per quegli individui non acclimatati, e sono presenti sia un abbassamento della capacità aerobica massimale sia della performance.
- Quote Elevate (3,000-5,000 m): vi sono effetti decisamente avversi sulla salute in una larga percentuale di soggetti, e un abbassamento significativo della performance, anche dopo la piena acclimatazione.
- Quote Estreme (oltre i 5,500 m): presenza di severi effetti dovuti all’alta percentuale di ipossia arteriosa e muscolare e alla densità dell’aria sempre più rarefatta.
CONDIZIONI FISICHE E AMBIENTALI: OSTILI OPPURE FAVOREVOLI?
Mediamente, per ogni 1.000 metri di salita, la probabilità di essere esposti ai raggi ultravioletti aumenta del 10-20%: consideriamo, ad esempio, che durante il periodo estivo l’emissione dei raggi UV-A e UV-B raggiunge il picco massimo nell’orario tra le 10 del mattino e le 14 del pomeriggio.
Lo stress termico potrebbe portare a una perdita elevata di liquidi, in risposta all’intensità dell’esercizio protratto; così facendo, si verificherebbe una fase di disidratazione in cui sarebbe probabile la compromissione del fabbisogno idrico giornaliero del soggetto in alta quota.
Detto ciò, è stato dimostrato che la disidratazione limita il flusso sanguigno cerebrale durante un esercizio fisico intenso con un aumento della dispersione di H2O attraverso l’evaporazione del sudore; quindi, potremmo dire che l’uomo non sembra in grado di mantenere un adeguato bilancio elettrolitico in quote elevate.
Un altro punto fondamentale è il sonno, in quanto atleti non adeguatamente acclimatati possono essere più inclini ad una scarsa qualità del sonno.
Anche il feedback a temperature molto rigide ha evidenziato una riduzione della produzione di calore e come conseguenza la riduzione del fenomeno della termogenesi con l’aumentare della quota.
Bisogna comunque ricordare che in altura vi è:
- una maggiore spesa iniziale di carboidrati (nel primo periodo si stazionamento).
- un aumento del costo energetico.
- un aumento dell’economia della corsa dovuta all’iperventilazione polmonare poiché la densità dell’aria è minore e quindi una maggiore percezione di fatica da parte del soggetto.
ESERCITARSI IN STATO DI IPOSSIA ACUTA E CRONICA: LE DIFFENTI REAZIONI NEI VARI SISTEMI E APPARATI

In aggiunta, per evitare di andare incontro a malattie causate dall’alta quota, le linee guida raccomandano che, una volta raggiunti i 2.500 metri, l’altitudine dovrebbe essere aumentata gradualmente, ad un ritmo variabile dai 600 ai 1.200 metri dopo le successive 24 ore di stazionamento.
RISPOSTA DEL SISTEMA NERVOSO
Come accennato prima, i dati attuali mostrano che l’acclimatazione al caldo consente una migliore attività neuronale volontaria, durante contrazioni prolungate, e una funzione esecutiva di protezione durante la fase di ipertermia, dovuta appunto allo stress termico. Di conseguenza, tale fenomeno comporterebbe ulteriori benefici sul sistema nervoso centrale ma non in quello periferico.
RISPOSTA SPLENICA E RENALE
Curiosamente, la milza risulta meno sensibile allo stress simpatico riflesso durante il periodo di ascesa in quota. Gli aumenti nella consegna di ossigeno (O2) ai diversi tessuti durante l’ipossia sono probabilmente governati attraverso alcuni meccanismi extra-splenici, come ad esempio:
- le condizioni ipossiche che stimolano il rilascio da parte del rene dell’eritropoietina (EPO), la quale incrementa l’attività dell’eritropoiesi nel midollo osseo rosso (produzione globuli rossi).
- la risposta ventilatoria polmonare, nello stato di ipossia, innescata dall’attivazione dei recettori aortici e carotidei a causa della bassa pressione parziale di ossigeno (PO2).
OBIETTIVI ALLENANTI
Possiamo distinguere tre forme di allenamento in quota, rispettivamente:
- Quello classico nel quale ci si allena e si dorme in altitudine (THLH o train high-live high).
- Il THLL (train high-live low), ossia vivere in altitudine e allenarsi in basso o, per meglio dire, al livello del mare.
- Il TLLH (train low-live high), ovvero quella in cui ci si allena in basso e si vive in altitudine.
Innanzitutto bisogna distinguere la preparazione per gare, che devono essere svolte in altitudine, da una preparazione finalizzata all’incremento di fattori prestazionali che vedono come obiettivo l’endurance (TR o training resistance) attraverso esercitazioni in quota moderata.
- Dunque, secondo Suslov l’allenamento ottimale è quello che si dovrebbe svolgere tra i 1.500 e i 2.500 m.
- Ad ogni modo, per un adeguata acclimatazione e, quindi, per sfruttare al meglio tutti gli effetti ottenibili dall’altura, sarebbe necessario attendere 20-25 giorni o, come suggerisce Manno, fino a 40-45 giorni dopo l’allenamento in quota.
Altri fattori che devono essere monitorati in altura sono la perdita di peso e i rischi del superallenamento (Over-Reaching & Over-Training).
ESERCIZI SOTTOMASSIMALI
I fattori genetici, ambientali e allenanti hanno una certa influenza sulla capacità di espressione del VO2max da parte di un atleta durante la prestazione: alcuni studi indicano che la componente genetica influisce maggiormente sulla corsa di resistenza.
Infatti, gli individui con capacità aerobica elevata sviluppano un’acclimatazione al calore più rapidamente rispetto alle loro controparti, meno flessibili, e un’elevata elasticità aerobica riduce, a sua volta, la probabilità di avere lesioni e/o malattie dovute allo stress termico.
Per le prestazioni di endurance si è potuto vedere che:
- un’esposizione acuta di 5 giorni a 1.780 m ha comportato il più piccolo decremento possibile delle prestazioni di corsa sulla distanza, rispetto ad atleti che vivevano e si allenavano a quote superiori intorno ai 2.800 m (Champan R.F. et al. 2016);
- nella somministrazione di allenamenti sia funzionale che HIIT, con un basso volume di carico, entrambi i protocolli hanno portato a miglioramenti simili nel VO2max e, per alcuni aspetti, della resistenza muscolare. (Menz V. et al. 2019)
ESERCIZI MASSIMALI
Per quanto riguarda l’espressione della massima energia in altura, possono presentarsi metodologie di allenamento differenti, che potrebbero aiutare a incrementare la soglia di tolleranza alla fatica, in risposta all’adattamento a quote elevate. Ad esempio come suggeriscono alcuni autori:
- Due settimane di SIT, o Sprint Interval Training, in condizioni ipossiche, migliorano il picco di captazione dell’ossigeno, il tempo di esaurimento fisico e la potenza della soglia anaerobica, con un’intensità equiparabile a quella di un allenamento svolto in normossia o, per meglio dire, al livello del mare (Richardson A.J. et al. 2016).
- È stato dimostrato che l’attività della cinetica enzimatica in quota inizialmente aumenta in maniera esponenziale, e torna ai propri valori basali dopo 4-6 settimane, in seguito all’ inizio dell’allenamento in altura, probabilmente a causa di una compensazione metabolica (Tas. M. et al. 2019).
- Le attività anaerobiche con una durata di 2 minuti o meno non sono generalmente compromesse a quote moderate ma, in alcuni casi, le prestazioni di sprint possono essere migliorate, poiché l’aria più rarefatta fornisce una minore resistenza ai movimenti aerodinamici. (Kenney L.W. et al. 2019).
ADATTAMENTO DEL MUSCOLO SCHELETRICO
Nello studio “Adaptations In Muscle Oxidative Capacity…”, dopo un periodo di 14 giorni in stato di ipossia e 6 sedute di Sprint-Ripetuti, in atleti d’élite che praticavano sport di squadra, si è verificato un aumento della capacità ossidativa nelle fibre muscolari di tipo I e di tipo II, senza un ulteriore accrescimento nelle proprie dimensioni.
In tale metodo vi sono stati notevoli incrementi nell’area di sezione trasversale fisiologica media o, come spesso viene indicata, PCSA.
Di conseguenza, la modalità TLLH (allenati basso-vivi alto), ossia un’alternativa del THLL, è una strategia di allenamento valida per il miglioramento della combinazione dei principali componenti della fibra muscolare scheletrica.
IL MODELLO IDEALE
Parallelamente al condizionamento e all’adattamento fisiologico in quota, ad oggi, non esiste un unico protocollo di lavoro: questo è dovuto alle diverse specialità di sport e al tipo di altitudine su cui stazionarsi e lavorare.
Ma se facessimo una netta differenziazione tra atleti amatoriali e atleti d’élite, per esempio, questi ultimi negli sport che richiamano esclusivamente il meccanismo glicolitico o anaerobico risulterebbero più potenti ed esplosivi rispetto alle loro controparti nella resa energetica finale.
RIASSUMENDO, UN ALLENAMENTO IN QUOTA GENERALMENTE INDUCE:
- Un aumento considerevole degli eritrociti (globuli rossi) e dell’emoglobina (Hb).
- Una migliore capillarizzazione centrale e periferica.
- Un incremento delle riserve di Mioglobina, del numero dei mitocondri, degli enzimi del ciclo dell’acido citrico (o Ciclo di Krebs) e del 2,3 DPG, il quale ha un importante ruolo nella captazione e nel rilascio dell’O2 sia nel breve che nel lungo termine.
- Esposizioni ipossiche intermittenti sono considerate efficaci nella pre-climatizzazione negli atleti, prima di salire in alta quota o moderata.
- La risposta fisiologica all’acclimatazione aumenta la tolleranza dell’ipossia e dello stress termico dovuta all’altitudine. In seguito sono riportati alcuni esempi:

PROSPETTIVE FUTURE E CONCLUSIONI
Abbiamo visto come il condizionamento fisiologico in altitudine potrebbe rilevarsi utile per un’atleta, considerando anche il tipo di sport-specifico praticato, indipendentemente dal fatto che sia individuale o di squadra.
Non bisogna però sottovalutare il rapporto tra i vantaggi e gli svantaggi nell’attuare determinati modelli di lavoro in altura o in ambienti ipobarici, in cui sarà necessario preservare, nel miglior modo possibile, lo stato di salute degli atleti stessi.
Ulteriori studi nel settore potrebbero fare chiarezza su quali metodologie innovative si potranno adottare per il raggiungimento di una migliore performance, sia in altitudine sia al livello del mare.
Javier Andres Roberti
Note sull’autore
Laurea Triennale in Scienze delle Attività Motorie e Sportive
Allenatore Portieri Dilettanti e Settore Giovanile FIGC
Operatore di Metodi di Valutazione Funzionale Training Lab Italia
Preparatore Atletico
Membro del Progetto University Lab
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