L’obiettivo di questo lavoro è quello di analizzare, attraverso lo studio di alcuni articoli, i parametri scientifici che evidenziano le cause, i danni e le ripercussioni dovuti a traumi alla testa. Dopo un’introduzione generale, ci focalizzeremo su i traumi alla testa dovuti ad azioni tipiche della pratica del gioco del calcio, in particolare al colpo di testa.
Inoltre, non di minore importanza, queste conoscenze sono finalizzate a suggerire metodi di allenamento ed avviamento alla pratica sportiva. Basti pensare alle linee guida adottate dalla Federazione calcistica scozzese, la quale ha applicato la prevenzione già in tenera età.
Cos’è l’encefalopatia traumatica cronica?
L’encefalopatia traumatica cronica (CTE) è una malattia neuropatologica, appartenente alla categoria delle Tauopatie. Si tratta di una malattia che porta a cambiamenti progressivi e degenerativi del cervello, collegata al vissuto motorio del trauma cerebrale.
Come tali, gli ex atleti di sport di contatto (ed ultimamente anche nella pratica del calcio) risultano essere altamente esposti al rischio dello sviluppo della CTE.
I ricercatori hanno identificato distinte caratteristiche patologiche di CTE, come pure una vasta gamma di sintomi clinici presenti, chiamata di recente “sindrome da encefalopatia traumatica” (TES). Questi sintomi clinici sono altamente variabili e non specifici, ma di particolare interesse sono quelli descritti nella CTE in casi clinici, i quali sono spesso associati a molti altri fattori.
Alcuni mutamenti possono essere:
- cognitivi;
- emozionali-comportamentali associati a fattori evolutivi e demografici;
- disturbi neuro-evolutivi;
- invecchiamento fisiologico;
- adeguamento al ritiro;
- abuso di farmaci ed alcool;
- interventi chirurgici;
- difficoltà a dormire;
È bene, inoltre, esplicare che vi è una relazione tra i fattori citati e il rischio di sviluppare la malattia neurodegenerativa, legato alla demenza.
Analizzando il perché diversi atleti professionisti possano essere particolarmente vulnerabili di fronte a molti di questi effetti, nell’importanza della scelta di appropriati gruppi di controllo e d’approfondimento di protocolli di ricerca, si giunge alla conclusione che questi fattori dovrebbero essere considerati principalmente modificatori dei risultati clinici associati a continui traumi cerebrali in un quadro bio-psicosociale più ampio: quando l’evoluzione del sintomo attribuito alla patologia diventa un potenziale di effetto nelle evidenze neuropatologiche.
Traumi Cranici nel Calcio
La lettura del lancio del pallone inizia col monitoraggio del volo di esso, lungo lo spazio che porta a prendere molte decisioni da parte dei giocatori esperti, i quali devono adoperarsi più rapidamente. I neofiti mostrano difficoltà a controllare un pallone aereo e quindi coordinare le successive azioni motorie utili per intercettare la palla.
L’abilità del colpo di testa nel calcio è stata descritta in 4 fasi:
- Preparazione
- Pre impatto
- Contatto
- Post – impatto
Ed è stata studiata in laboratorio principalmente per misurare le forze d’impatto associate alla direzione della palla.
Quello che dovrebbe essere un compito semplice, ossia contare i colpi di testa, risulta laborioso. Sono stati utilizzati numerosi metodi, come osservatori in loco o videoanalisi, estrapolando un breve segmento della competizione ed autovalutazione dell’atleta e dell’allenatore.
Le conclusioni affermative sulla presenza degli effetti neuro-cognitivi acuti o cronici sono elusive, poiché gli studi fino ad oggi hanno utilizzato differenti metodologie di ricerca, come popolazioni, test neuro-psicologici paradigmi di test, cambiamenti di criteri clinici e psico-medici. Inoltre è difficile isolare gli effetti individuali del colpo di testa nel calcio e commozione.
Ad esempio, le proprietà della palla e delle superfici del gioco, l’allenamento della forza sono aree che potenzialmente hanno implicazioni per la prevenzione degli infortuni.
La CTE rappresenta una potenziale causa neurodegenerativa di demenza e disturbi motori, specie negli ex professioni sportivi (David D. R. Williams, 2017) che hanno avuto una carriera calcistica con ripetuti impatti al cranio.
In uno studio condotto dal 1980 al 2010, 14 ex calciatori affetti da demenza sono stati seguiti regolarmente fino alla morte. I loro dati clinici, la carriera di ciascun giocatore, la storia delle commozioni sono stati raccolti in modo prospettico.
Nei 14 partecipanti maschi, 13 erano professionisti ed uno un amatore. Tutti erano abili nel colpire la palla con la testa ed avevano una carriera media di 26 anni. Il tasso dello sviluppo sulla commozione era stato preso come esempio in 6 pazienti analizzati durante il loro decorso calcistico.
In tutti i casi, i pazienti hanno sviluppato un deterioramento cognitivo progressivo, con età media di 60 anni. Da 6 a 10 anni è stata la durata della malattia, di fatti l’esame neuro-patologico ha evidenziato anomalie del setto in tutti i 6 casi post-mortem a supporto di una storia di impatti cronici ripetitivi della testa. In 4 casi era stata confermata la diagnosi di CTE.
Le patologie concomitanti includevano: morbo di Alzheimer (n=6), TDB-43 (n=6), angiopatia amiloide cerebrale (n=5), sclerosi ippocampale (n=2), degenerazione corticobasale (n=1), demenza con corpi di Lewy (n=1) e patologie vascolari (n=1). Tutti avrebbero contribuito sinergicamente alle manifestazioni cliniche.
La diagnosi patologica della CTE è stata stabilita in 4 individui, secondo quanto i criteri più recenti diagnostici.
Questo risultato è probabilmente correlato alla loro lunga esposizione passata, dovuta a ripetuti colpi alla testa. La malattia di Alzheimer e la patologa TBD-43 sono risultati concomitanti e comuni nella CTE sviluppatosi in età avanzata.
Colpire la palla di testa è parte integrante del calcio, è può arrecare seri problemi se il gesto avviene ripetutamente.
Un giocatore in media colpisce di testa la palla dalle 6 alle 12 volte per competizione, eseguendo almeno 2000 colpi di testa in una media di 20 anni di carriera oltre a esercizi allenanti ripetitivi. Molti traumi cranici avvenuti nel calcio non provarono una commozione cerebrale e sintomi neurologici evidenti, ma sono associati a lievi deficit neuropsichiatrici o cambiamenti evidenziabili tramite risonanza magnetica funzionale, indicati come “sub-concussione” (David D. R. Williams, 2017).
I cambiamenti strutturali cognitivi del cervello sono stati segnalati in giocatori esposti a ripetuti colpi sub-concussivi. Il loro significato clinico, come potenziale causa di trauma cranico e un rischio di successivo sviluppo di CTE, sono di notevole interesse. La demenza può rappresentare una conseguenza nel calcio professionistico sviluppandosi in tarda età.
In uno studio, sono state descritte le caratteristiche clinico-patologiche di 3 ex calciatori professionisti, i quali hanno sviluppato la demenza. Tra il 1980 ed il 2010, 14 casi di ex professionisti calcistici con deterioramento cognitivo progressivo sono stati reclutati dal Old Age Psychiatric Service Swansea (Galles) e sono stati sottoposti a continua sorveglianza clinica con regolare follow-up ambulatoriale da parte di uno neuropsichiatra (David D. R. Williams, 2017) consulente fino alla morte (Vedi figura).
Metodi
Dal 2015 al 2016 i dati clinici ed altri dati demografici sono stati raccolti sistematicamente e retrospettivamente da revisioni dei referti medici e dalle interviste dei parenti stretti per la seguente serie clinico-patologica.
L’esame neuropatologico del cervello è stato inizialmente seguito dal dipartimento di patologia cellulare presso l’Università di Cardiff tra il 2005 ed il 2009. Tutti i casi post-mortem avevano ricevuto una diagnosi patologica di morbo di Alzheimer. Nel 2016 i blocchi di tessuto di questi casi sono stati trasferiti alla Queen Square Brain Bank Istiute of Neurology di Londra per l’analisi neuropatologica sistemica per il presente studio.
Tutti gli ex 14 professionisti erano uomini, 13 erano professionisti, ed uno amatore, erano tutti abili nel colpo di testa. La metà dei giocatori erano centravanti dove l’uso del pallone con la testa è frequente.
Tutti hanno cominciato la pratica del gioco del calcio all’età della prima adolescenza, per un totale di 26 anni. La commozione è stata segnalata solo in 6 giocatori limitati ad un singolo episodio accaduto nella loro carriera.
Tutti i casi hanno sviluppato malattie progressive demenziali con problemi motori consistenti, tra cui parkinsonismo (n=7), difficoltà di deambulazione, instabilità posturale con cadute recidivanti (n=6) e disartria (n=3) e cambiamenti del comportamento ed umore erano caratteristiche comuni (n=12). L’età media dell’esordio dei sintomi era di 63 anni e la durata della malattia era di 10 anni, 12 soggetti sono morti per malattie neurodegenerative avanzate, e nessun caso è stato segnalato per abuso di sostanze stupefacenti o istinto suicida.
I risultati neuropatologici erano disponibili in 6 casi, ma ne sono stati analizzati tre per questo studio.
Risultati
Caso 1
Il defunto era un centravanti, a 56 anni era ansioso e depresso, gradualmente accusava disturbi del linguaggio e manifestava disturbi nella deambulazione. L’esame ha rilevato rigidità e bradicinesia.
A 60 anni sviluppò una graduale atassia non fluente, inoltre era irritabile ed aggressivo. Il quadro clinico comprendeva sia demenza frontotemporale (FDT) e parkinsonismo. Il cervello si mostrava lievemente atrofico con dilatazione del IV ventricolo e cavum septi pellucido con fenestrazione settale.
L’esame istologico della neocorteccia ha mostrato spongiosi superficiale e alcuni neuroni gonfi. L’immunoistochimica Tau ha rilevato una combinazione di pre-grovigli e grovigli neuro fibrillari e placche astrocitiche neocorticali. Inoltre le strutture come i nuclei grigi profondi, l’ippocampo, il tronco cerebrale ed il cervelletto apparivano sormontati da strutture filamentose con corpi arrotondati nella sostanza bianca subcorticale. C’era una grande perdita di neuroni pigmentati nella sostanza nera.
La distribuzione delle placche neuritiche beta-amiloide positive e delle NfT (grovigli neurofibrillari) corrispondevano ai cambiamenti intermedi alla diagnosi del morbo di Alzheimer (A3, B2, C2). Gli strati corticali superficiali mostravano un alto carico di inclusione neuronali positivo per l’immunoistochimica della proteina Tau a supporto della patologia correlata alla CTE.
I focolai di grovigli astrocitari perivascolari e grovigli neurofibrillari presenti nella profondità della corteccia prefrontale e della neocorteccia erano in linea con la CTE.
Caso 2
Il defunto divenne professionista durante la sua adolescenza, egli ha riportato un contatto testa contro testa con perdita di coscienza e frattura del cranio durante una competizione.
A 69 anni mostrava una progressiva compromissione della memoria episodica ed è diventato eccentrico. Il suo punteggio al “Mini Mental State Examination” (MMSE) era ventidue/trentesimi all’età di 71anni, e diciassette/trentesimi all’età di 74.
La sua storia includeva attacchi ischemici transitori e ipertensione. Ha sviluppato megalomania, impulsività e attacchi di iracondia. Nel suo ultimo anno di vita, all’età di 78 anni con demenza avanzata, è stato rilevato una abbondante massa maligna a livello addominale.
La biopsia encefalica ha mostrato una moderata atrofia dei lobi temporali e dell’ippocampo e fenestrazione del setto pellucido senza evidenze di tumori in fase progressivi. La pigmentazione della sostanza nera è stata preservata.
I risultati dei focolai multipli di p-Tau positiva ed NfT erano maggiormente localizzati nelle profondità della corteccia frontale e temporale in linea con la diagnosi di CTE. Inoltre era presente una diffusa tauopatia conforme alla CTE localizzata in tutta la struttura limbica, i nuclei sottocorticali, il troco encefalico che avvaloravano tale diagnosi.
Caso 3
Il defunto ebbe una carriera professionistica ed ha riportato un episodio traumatico al cranio che ha provocato la frattura della mascella, e innumerevoli colpi di testa ma nessuna perdita di coscienza. A
63 anni sviluppò una progressiva anomia non riuscendo a pronunciare i nomi degli oggetti, sviluppò comportamenti impulsivi ed aggressivi. Nel suo ultimo anno di vita sviluppò disartria e demenza avanzata.
Morì a 72 anni per infarto miocardico. Alla biopsia il cervello risultava moderatamente atrofico, interessando prevalentemente il lobo mediale temporale e la porzione ippocampale, inoltre mostrava dilatazione ventricolare e fenestrazione settale pellucido.
L’immunoistochimica Tau ha mostrato focolai attivi di NfT e strutture filamentose nelle profondità del solco della corteccia frontale e temporale in accordo con la diagnosi di CTE. Si è evidenziato in modo vivace gli aggregati della proteina Tau negli strati corticali superficiali ed altre caratteristiche tipiche della patologia.
Prevenzione in Ambito Calcistico
Si può dire che la problematica nel calcio è dovuta, non dalla limitazione di determinati impatti che sono completamente differenti dagli altri sport, ma dai traumi rilevati e maggiormente espressi nel colpo di testa.
Tale “gestualità tecnica” viene ricercata anche in fase di allenamento, attraverso esercitazioni specifiche e quindi di come, con una serie di studi specifici, questa possa essere deleteria.
Per queste motivazioni è bene, dunque, delineare una possibile strategia di prevenzione adatta all’insorgenza delle problematiche citate in precedenza nel calcio. Di conseguenza, adattando strategie ed eventuali mezzi che non snaturino l’essenza dello sport.
Si ritiene utile anche analizzare le componenti specifiche della CTE per poter comprendere nel miglior modo le conseguenze di determinate sollecitazioni. Un pioniere di questa problematica legata al colpo di testa nel calcio è la Scottish Football Federation (SFA) la quale ha ufficializzato il divieto ai bambini sotto i 12 anni di colpire il pallone di testa. (Vedi linee guida)
Il lavoro della Federazione Scozzese, che attraverso delle linee guida si preclude la riduzione degli infortuni, ha studiato delle didattiche di lavoro suddivise per età. Inoltre, spinge gli allenatori di ogni livello a completare i relativi corsi di formazione sulla commozione cerebrale.
Allenatori, insegnanti, dirigenti e genitori coinvolti nel gioco dovrebbero avere una chiara consapevolezza dei sintomi di una possibile commozione cerebrale e capire come affrontare queste situazioni. In ogni caso i giocatori dovrebbero essere rimossi dal campo di gioco e seguiti da protocolli corretti.
Considerazioni conclusive
In conclusione, si può affermare che tutti i casi post-mortem hanno mostrato patologie miste, tra cui la CTE. Si suppone che tale patologia, in questi ex atleti, sia correlata alla loro passata esposizione ad impatti recidivanti sub-concussivi al cranio.
Questo esposto è stato preso in esame dal neuropsichiatra (David D. R. Williams, 2017) citato in precedenza, con lo scopo di comprendere il potenziale legame tra il calcio e le possibili conseguenze neurodegenerative a lungo termine.
Sebbene questo studio non fornisca una correlazione causale stabile tra CTE e l’esposizione recidivante agli impatti dovuti al calcio, i risultati supportano la presente necessità di avviare studi su una ampia scala per identificare i gruppi a rischio di professionisti, inclusa l’età d’esposizione, che giustificherà l’attuazione di strategie mirate preventive e la disciplina educativa per i giocatori attuali.
La valenza ed il peso che ha il calcio rimane sfuggente: la forza d’impatto necessaria per innescare il meccanismo patologico è attualmente un’incognita e gli impatti ripetitivi non sono limitati alla direzione della palla, poiché anche i contendenti sono spesso esposti agli urti testa a testa tra di loro.
Stando a quanto visto finora, i traumi cranici ripetuti comportano delle modificazioni neurofisiologiche, così come l’insorgenza di determinate problematiche sia in acuto che in cronico molto importanti per ogni settore sportivo.
Altresì, la ricerca su questo campo è ancora all’inizio, ma una sana prevenzione potrebbe fare nient’altro che bene.
Giungo al termine delle conclusioni, invogliando all’investimento sulla ricerca di tale patologia nel mondo sportivo che, affiancata da gruppi di studiosi con almeno un team di laureati nelle Scienze Motorie, possa gettare le basi di uno studio sia da campo sia laboratoriale anche in Italia. C
osì da poter prevenire e garantire una vita sportiva degna dell’essenza dello sport, ossia il benessere psicofisico di chi la pratica!
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Michele Perniola
Note sull’autore
Laurea in Scienze e Tecniche dello Sport presso l’Università degli Studi Aldo Moro (Bari)
Laurea in Scienze delle Attività Motorie e Sportive presso l’Università Gabriele D’Annunzio
Preparatore Atletico Allievi Regionali nel calcio
Preparatore Atletico Presso il Circolo Tennis in Marina di Ginosa
Istruttore di Ginnastica Dolce, Posturale e della III età presso Olimpia Sport Ginosa
Bibliografia:
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