Esercizio fisico: la chiave per la salute prima e dopo la Menopausa

Data:

04/07/2018

Indice degli argomenti

L’esercizio fisico nelle donne, con una chiave scientifica, può portare a risultati inaspettati sia sull’estetica che sulla performance.

Cos’è la menopausa?

La menopausa è l’evento fisiologico che nella donna corrisponde al termine del ciclo mestruale e dell’età fertile. Nella menopausa termina l’attività ovarica: le ovaie non producono più follicoli ed estrogeni (ormoni femminili principali). Nell’uso comune del termine invece si indica soltanto una notevole diminuzione dei fluidi, coincidente con il periodo di climaterio femminile.

Tale stato provoca una serie di mutamenti nella donna che riguardano gli aspetti trofici, metabolici, sessuali e psicologici, con una serie di manifestazioni (sintomi) che variano a seconda della persona e possono essere più o meno marcati, ma non tutti sono collegabili alla menopausa in sé, poiché influiscono altri fattori come il contesto familiare e sociale e il termine menopausa deriva dal greco “μήν μηνός “(mese) e “παὒσις “(cessazione).

Normalmente l’età in cui si riscontra la menopausa, ovvero cessa la secernazione di flussi mestruali, è fra i 50 e i 52 anni come media mondiale. Esistono aggravanti, fattori di rischio che interferiscono solitamente diminuendo l’età anagrafica di tale evento: il fumo nella donna, sia attivo che passivo, è tale da indurre un’anticipazione dell’evento di 1,5 – 2 anni. La quantità di assunzione (numero di sigarette) e la durata di assunzione sono strettamente correlate alla diminuzione dell’età rispetto all’evento, in pratica più si fuma e da più tempo si fuma e più la menopausa si manifesterà prima del dovuto.

Altri fattori sono il tipo di alimentazione, che può essere ritenuta assolutamente non adatta per colpa delle condizioni economiche del soggetto, e l’indice di massa corporea se risulta inferiore a quello ideale., l’abuso di alcool e la bassa statura.

La menopausa in sé non può essere considerata una malattia, essendo un evento fisiologico legato all’invecchiamento ed infatti essa viene causata dalla deplezione o atresia dei follicoli ovarici: questo comporta la diminuzione di vari ormoni, quali per esempio l’inibina e la gonadotropina.

  • L’inibina è un ormone la cui funzione è quella di inibire l’attività di un altro ormone (che stimola il follicolo), la sua diminuzione porta un aumento del FSH (follicle stimulating hormone).
  • La gonadotropina è un ormone la cui funzione è quella di stimolare la funzione ovarici.

Inoltre vi è un coinvolgimento delle cellule della granulosa: queste non riescono più a produrre ormoni steroidi e glicoproteine a sufficienza e anzi si mostra maggiore apoptosi (morte cellulare), consentendo l’invecchiamento nella donna.

Ormoni e sistema cardiovascolare

Una volta raggiunta la menopausa è stata registrato un aumento delle malattie cardiologiche, la mortalità dovute a tale complicanza sono superiori rispetto a quella del cancro alla mammella. Il rapporto donna-uomo cambia dopo l’evento: prima si mostra un rapporto di 1: 5, successivamente la differenza diminuisce notevolmente e superati i 70 anni l’incidenza risulta identica in entrambi i sessi.

Tralasciando le conseguenze del solo fattore età, la diminuzione degli estrogeni comporta iper-triglicemia, diabete, ipertensione, dislipidemia oltre all’obesità: sono tutti fattori pericolosi per il lavoro del cuore e la loro manifestazione cumulativa porta ad elevati rischi per il sistema cardiovascolare.

Studi recenti hanno dimostrato che nella fase della menopausa si riducono i livelli di HDL e aumentano i valori dell’apolipoproteina B. Le apolipoproteine sono proteine capaci di legare lipidi e sono costituenti delle lipoproteine, aggregati molecolari deputati al trasporto di colesterolo e trigliceridi attraverso la circolazione ai vari tessuti e organi. Sono molecole anfipatiche, come i fosfolipidi in cui si immergono nella formazione delle lipoproteine, porgendo la loro faccia apolare verso l’interno delle stesse e quella polare verso l’ambiente acquoso esterno.

Obesità: differenze tra uomo e donna

La composizione corporea della donna in post menopausa subisce delle variazioni, infatti come noto vi è uno shift del tessuto adiposo dalla periferia a livello centrale. Detto ciò si può introdurre in concetto di obesità Androide e obesità Ginoide: infatti nel 1950 Jean Vague introdusse la distinzione tra obesità androide ed obesità ginoide, osservando che alla prima si associava un maggior rischio di ipercolesterolemia, ipertensione e ridotta tolleranza ai carboidrati.

Dal punto di vista quantitativo (eccesso di massa grassa) le obesità vanno dunque indagate anche sotto l’aspetto qualitativo. Già in condizioni fisiologiche, uomo e donna si distinguono per una diversa distribuzione della massa adiposa. Tale fenomeno diventa evidente nel periodo post-menopausale, nel quale, a causa del calo dei livelli estrogenici, si assiste ad una redistribuzione del grasso corporeo.

In condizioni patologiche tali differenze possono esacerbarsi, dando luogo ai due principali tipi di obesità:

  • OBESITÀ ANDROIDE (detta anche centrale, viscerale, tronculare o “a mela “): tipicamente maschile, si associa ad una maggiore distribuzione di tessuto adiposo nella regione addominale, toracica, dorsale e cerviconucale. L’obesità androide si associa inoltre ad un’elevata deposizione di adipe in sede intraviscerale (addominale o interna).
  • OBESITÀ GINOIDE (detta anche periferica, sottocutanea o “a pera “): tipicamente femminile, si caratterizza per una distribuzione delle masse adipose nella metà inferiore dell’addome, nelle regioni glutee ed in quelle femorali. Nell’obesità ginoide il grasso è presente soprattutto nel compartimento sottocutaneo, con conseguente elevato rapporto tra grasso superficiale e profondo.

Diagnosi di menopausa ed accertamenti

Nella menopausa per una corretta diagnosi bisogna attendere 12 mesi dall’ultima mestruazione, ma dopo 6 mesi la probabilità è molto alta, ma se esse hanno meno di 50 anni è corretto fare accertamenti su una possibile gravidanza.

Raramente, perché solitamente non è ritenuto necessario, si può effettuare il dosaggio di FSH. Altro esame è lo screening per l’osteoporosi, complicanza comune, da effettuare soprattutto in persone dalla sesta decade.

Durante lo stato della menopausa è stata riscontrata una maggiore pericolosità per quanto riguarda le operazioni cardiache in genere e in particolare quelle che coinvolgono la valvola mitrale, ciò è sempre dovuto allo sbalzo degli ormoni nell’individuo; è stato calcolato che le donne di un’età racchiusa nel periodo 40-59 anni dimostra una mortalità più che doppia rispetto agli uomini della stessa età, tale rapporto diminuisce notevolmente sia prima che dopo tale periodo.

Sedentarietà vs esercizio fisico

Da tempo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) considera i soggetti sedentari nelle fasce di età media ed avanzata come individui ad alto rischio per contrarre malattie degenerative. Studi epidemiologici, clinici e di laboratorio hanno evidenziato come la mancanza di attività fisica è associata ad un incremento di mortalità, morbilità cardiovascolare, maggiormente nel sesso femminile, con una importanza pari a quella del fumo di sigaretta. Ricordiamo inoltre che la sedentarietà aumenta il rischio di cancro del colon e della mammella, di osteoporosi, di depressione e di stati ansiosi.

Nel 1995 l’American College di Medicina dello Sport pubblicò le raccomandazioni per la salute pubblica, affermando che ciascun adulto dovrebbe eseguire circa 30 minuti o più di attività fisica al giorno di intensità come minimo moderata. Sebbene siano passati più di 15 anni dalla pubblicazione del testo, non tutti hanno recepito il significato delle raccomandazioni o almeno, hanno applicato nella vita quotidiana tale consiglio.

L’inattività fisica rimane infatti un problema di salute pubblica molto pressante e riguarda la prevenzione di tutta la popolazione e di ogni fascia di età. Negli Stati Uniti, il programma Healthy People 2010 individua l’attività motoria come una delle finalità di salute principali per il Paese ed in Italia già nel piano Sanitario 2002-2004 la sua promozione compare tra gli obiettivi strategici della prevenzione e della comunicazione pubblica sulla salute (insieme al controllo del tabagismo e al miglioramento della qualità dell’alimentazione).

Quale è il comportamento del genere femminile in questo campo e quale è l’impatto di tale fattore di rischio cardiovascolare nei due sessi?

Le donne conducono uno stile di vita più sedentario di quello maschile a tutte le età.

In America solo il 53%.1 delle donne rispetto al 60.3% degli uomini pratica esercizio fisico moderato o vigoroso, 3 o più giorni alla settima. In diversi Paesi europei, il 60% circa degli uomini e il 70% circa delle donne sono risultati sedentari. Anche in Italia, secondo dati forniti dal Ministero della Salute, il 46% del sesso femminile non pratica attività motoria ed il numero si incrementa con l’aumentare dell’età.

Nel mondo occidentale, la sedentarietà coinvolge il sesso “debole” fino dall’epoca adolescenziale. Le giovani infatti, secondo gli organi ufficiali delle società sportive di alcuni paesi europei, tendono a sottostimare il loro potenziale e la capacità di praticare attività sportiva, adducendo come ostacoli lo scarso tempo a disposizione e le risorse finanziare. Nell’età adulta, le donne spendono meno energia rispetto agli uomini, pur essendo comunque impegnate in attività domestiche o lavorative che richiedono uno sforzo intenso. Le cause possono essere molteplici, ossia l’età, il ruolo sociale ed i numerosi schemi ambientali.

Gli studi epidemiologici evidenziano che è maggiormente colpita la popolazione con la condizione socioeconomica e culturale più bassa. Molto probabilmente, la consapevolezza del beneficio insostituibile apportato da una costante attività fisica, inteso come parte attiva di una terapia non farmacologica nella prevenzione primaria e secondaria delle patologie cardiovascolari non è stata ancora completamente capita e recepita dallo stesso mondo femminile.

 

Quali sono i meccanismi responsabili della riduzione del rischio cardiovascolare nelle donne?

Tuttora non sono del tutto definiti. Pochi sono stati gli studi, in realtà, che si sono cimentati nel distinguere gli effetti dell’attività fisica sulla salute delle donne rispetto a quella dell’uomo. Pertanto, come già evidenziato per altre ricerche scientifiche, la gran parte delle conoscenze sull’argomento derivano da studi condotti su una popolazione mista o prevalentemente maschile. Sappiamo che l’attività fisica altera favorevolmente il metabolismo dei carboidrati e la distribuzione del tessuto adiposo, comporta una diminuzione dei livelli di trigliceridi, un aumento del rapporto HDL/LDL ed una riduzione del rischio di trombosi agendo sulla sensibilità all’insulina ed, inoltre, aiuta a controllare il diabete, la pressione arteriosa e l’obesità.

Ricordiamo, a tale proposito, che la maggiore percentuale delle donne sedentarie è presente in fase peri o post-menopausa e sono molto spesso in soprappeso o francamente obese. Secondo il Progetto Cuore, nel nostro Paese il 48% delle donne in menopausa non svolge esercizio fisico durante il tempo libero, raggiungendo picchi del 60% nel Sud. L’importante decremento del rischio relativo di eventi cardiovascolari e, in particolar modo, di cardiopatia ischemica, è naturalmente attribuibile alla modificazione dei succitati fattori di rischio.

Secondo quanto riportato dal Women’s Health Study, il maggiore contributo alla diminuzione del rischio di malattie cardiovascolari sarebbe da attribuire prevalentemente alla riduzione dei bio-markers infiammatori ed emostatici (33%), seguiti dalle variazioni dei valori pressori (27%) e dei lipidi (19%), della massa corporea (10%) e dei valori glicemici (9%). I bersagli su cui agisce l’attività motoria aerobica, quella prevalentemente studiata sulle donne, sono gli stessi che vengono influenzati dagli ormoni estrogeni. È probabile, quindi, che le donne possano beneficiare di un vantaggio ancora maggiore dall’esercizio fisico rispetto agli uomini, essendo già favorite dal punto di vista ormonale contro i comuni fattori di rischio cardiovascolare.

Un esercizio costante ha dimostrato di stimolare, inoltre, un cambiamento positivo dello stile di vita e dell’umore, riducendo gli stati di depressione e di ansia, questi ultimi ben presenti durante il periodo della menopausa e fortemente correlati all’insorgenza di patologie cardiache. Riguardo alle abitudini di vita, l’associazione con una dieta bilanciata porta ad una riduzione maggiore sia della pressione sistolica che diastolica, specialmente nelle donne ipertese di base, ed un migliorato profilo lipidico con diminuzione dei livelli di colesterolo totale e delle LDL ed un aumento delle HDL.

Nell’ambito della prevenzione cardiovascolare, quale deve essere l’attività da consigliare e di che entità? Fino a quale età può essere iniziato un training fisico?

Se vogliamo rispondere all’ultima domanda, uno studio prospettico eseguito su circa 40.000 donne in post-menopausa, ha sottolineato il concetto che l’età matura non è assolutamente una controindicazione all’inizio di un programma di allenamento fisico specifico, se naturalmente preceduto da una attenta valutazione clinica. Più complesso è dare una risposta agli altri interrogativi.

Le linee guida della prevenzione cardiovascolare del 2014 consigliano alle donne di praticare attività fisica aerobica per almeno 30 minuti, di entità moderata, come camminare a passo svelto, almeno per 5 giorni alla settimana, fino a raggiungere 60- 90 minuti se sovrappeso e/o per mantenere la perdita di peso. L’attività può essere anche intermittente, con periodi di circa 10 minuti, ciascuno nell’ambito della giornata e, ultimamente gli esperti incoraggiano anche l’introduzione di esercizi di resistenza e di allungamento muscolare eseguibili nel programma complessivo. Ma tale carico è sufficiente per ottenere una adeguata cardio-protezione?

Vi è una considerevole evidenza scientifica che suggerisce come la relazione fra entità dell’esercizio fisico e rischio di cardiopatia ischemica possa essere differente nei due sessi. I lavori sull’argomento avrebbero, infatti, verificato una netta correlazione tra la riduzione del rischio relativo e la quantità dell’attività motoria, solamente comunque, nel sesso maschile. Nella donna, infatti, i risultati sono non univoci. I benefici sarebbero maggiori eseguendo una attività fisica moderata.

D’altro canto, gli uomini risponderebbero con una perdita maggiore di peso corporeo rispetto alle donne svolgendo la stessa entità di attività motoria. Possono questi risultati essere solamente ascrivibili ad una risposta di genere, ormonale? Possono essere anche ascrivibili ad un inadeguato rigore scientifico degli studi condotti? Sono dipendenti anche da fattori comportamentali quali le abitudini alimentari, il differente apporto calorico? Cosa fare? I benefici di una attività motoria, costante, prevalentemente aerobica, ad inizio graduale sono ormai conclamati per tutte le fasce di età, comprese quelle più adulte, ma il mondo scientifico deve prefiggersi due obiettivi:

  • definire ricerche che coinvolgano il mondo femminile per potere valutare il reale contributo dell’esercizio fisico nella prevenzione delle patologie cardiovascolari;
  • in particolare modo, è importante delineare l’entità e la modalità di esecuzione dell’esercizio fisico che possa essere somministrato senza provocare danni e che possa essere adottato dalle donne nel proprio contesto sociale, come la più congeniale al loro mondo ed alle loro attitudini.

Questo concetto è essenziale poichè la distribuzione di tipo androide e ginoide forniscono un diverso CVR. Le più recenti raccomandazioni provenienti dagli USA suggeriscono periodi regolari di attività con un moderato livello di intensità. Si ritiene che, una camminata a passo sostenuto, sia praticabile per una percentuale molto più elevata della popolazione, poiché può essere ragionevolmente inserito nelle abitudini quotidiane e richiede un minor sforzo fisico ed infatti le attuali raccomandazioni consigliano di camminare di buon passo per 30 minuti almeno 5 volte a settimana.

Se da un lato con l’esercizio fisico si cerca di modificare il bilancio energetico affinché la spesa energetica superi l’introito calorico, dall’altro lato quando si parla di obesità o sovrappeso, uno dei primi concetti che ci viene richiamato alla mente è la somministrazione delle diete a restrizione calorica così che un ridotto introito calorico giornaliero possa portare vantaggi sia a livello cardiovascolare che a livello della composizione corporea. Inoltre la spesa energetica che è formata sia dall’attività fisica, definita come l’insieme di tutti i movimenti corporei generati dalle contrazioni volontarie dei muscoli scheletrici che determinano un incremento al di sopra del metabolismo basalesia dall’esercizio fisico che è contenuto nell’attività fisica e racchiude tutta quella serie di movimenti pianificati, strutturati e ripetitivi che hanno lo scopo di mantenere ed incrementare il livello di fitness se da un lato il ruolo protettivo dell’esercizio fisico nei confronti dell’insorgenza di fattori di rischio cardiovascolare si associa ad una buona composizione corporea addirittura con un ruolo maggiormente protettivo rispetto all’attività fisica, dall’altro lato non vi è un’evidenza scientifica concreta che avere uno stile di vita attivo, in assenza di esercizio fisico, possa rappresentare un elemento di vantaggio per tutte le componenti fisiologiche legate al CVR come ad esempio il profilo lipo-plasmatico.

Questo avviene in parte perchè un approccio terapeutico integrato, non può far leva solamente su singoli parametri cardiovascolari in quanto bisogna tener conto delle innumerevoli variabili che influiscono su ciascuno di questi. Lo scopo dello studio è stato indagare come l’attività fisica si modifica in presenza di esercizio fisico, come questa agisce sui parametri fisiologici legati al CVR e al profilo lipo-plasmatico e di contro, vedere se e come la pratica di un programma di esercizio fisico influenzi lo stile di vita.

PhD Emanuele D’Angelo
Note sull’autore

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BIbliografia

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