Oggi affronteremo il protocollo SMIT – Supramaximal Interval Training – parlando di allenamenti ad intervalli, che prevedono periodi di lavoro ripetuti, e lo confronteremo con l’High Intensity Training.
Quando si parla di High Intensity Training e Supramaximal Interval Training parliamo di allenamenti ad intervalli, che prevedono periodi di lavoro ripetuti intervallati da periodi di recupero. Sono entrambi ad alta intensità e sono spesso usati per il condizionamento in sport di squadra o individuali.
In cosa differiscono?
- Nell’HIT vi sono periodi di lavoro con una Vo2max che va dal 90% al 100% con un rapporto lavoro/recupero di 1:1 o 2:1;
- nello SMIT si hanno periodi di lavoro in cui si superare il 100% della Vo2max con rapporto lavoro/recupero che va da 1:3 a 1:9 (Billat, 2001; Denadai et al. 2006).
Ad oggi non vi sono risultati che confrontano l’HIT e lo SMIT nei termini di miglioramento della prestazione sia per quanto concerne il contesto aerobico che quello anaerobico; la maggior parte di questi sono limitati a protocolli di esercizio svolti sulla bike (Laursen et al., 2002).
Le evidenze scientifiche
Gli adattamenti fisiologici e i miglioramenti della prestazione dovuti ad un programma di miglioramento della Vo2max, in soggetti precedentemente sedentari, sono abbastanza chiari. Viceversa in soggetti già allenati questi cambiamenti rimangono ancora poco chiari e sono tutt’ora oggetto di studio.
In individui precedentemente sedentari, allenamenti di endurance sub-massimali, portano a miglioramenti significativi della prestazione e dei marker fisiologici; situazione opposta avviene in soggetti allenati, dove non vi è un aumento della performance, dei picchi di Vo2 max e dell’attività dell’enzima ossidativo.
La ricerca, seppur limitata, ha esaminato i cambiamenti dell’attività degli enzimi muscolari in atleti altamente allenati, con l’HIT, ritenendo che non vi sono stati cambiamenti nell’ossidazione e nell’attività degli enzimi glicolitici, nonostante vi siano ottimi miglioramenti della prestazione. Pare che questo aspetto sia dovuto al miglioramento della capacità tampone del muscolo scheletrico (Laursen, 2002).
Nonostante la ricerca sia in continuo aggiornamento, è certo che il protocollo HIT è un ottimo metodo per migliorare le prestazioni di atleti altamente allenati (Laursen, 2002). Nel suo studio Laursen, conferma che sprint “sopramaximal training” portano ad un aumento delle prestazione nei ciclisti rispetto al protocollo HIT.
Cicioni-Kolsky e colleghi hanno condotto uno studio nel 2011, per esaminare il miglioramento della prestazione con un protocollo di lavoro HIT, SMIT ed un allenamento continuo. In particolare sono stati analizzati i cambiamenti di prestazione sui 3000 metri, su di uno sprint massimale di 40 metri e su sprint ripetuti 6×40 metri (repeated sprint ability).
Lo studio ha evidenziato che dopo 6 settimane di lavoro i partecipanti hanno migliorato lo sprint nei 40 mt e nel repeated sprint ability (6×40), con un protocollo SMIT a discapito di protocolli HIT e allenamento continuo, confermando quanto scritto precedentemente rispetto allo studio di Larsen et al. (2002).
Questo tipo di risultati trovano un risvolto pratico e significativo per quanto concerne la preparazione atletica, in particolare per tutti gli sport di squadra che richiedono sprint, resistenza e capacità di recupero.
Nei 3000 metri, il miglioramento della performance è stato maggiore in coloro che avevano svolto 6 settimane di allenamento con protocollo HIT con un incremento della prestazione del 7,3% a differenza del 3,4% del protocollo SMIT (1:9 W/R); per quanto riguarda la corsa continua non vi è stato nessun miglioramento.
Da questi dati emerge che l’interval training è una metodologia efficace per migliorare l’attività enzimatica sia aerobica che anaerobica rispetto ad una metodologia continua e sub- massimale (Barnett et al., 2004).
Soggetto sedentario, occasionalmente attivo, atleta e VO2 max
Si ritiene che un soggetto sedentario abbia una Vo2max minore di 45 ml/kg/min, mentre in individui occasionalmente attivi quest’ultima si attesta tra i 45 – 55 ml/kg/min; sono richiesti diversi anni per far sì che la Vo2max raggiunga livelli eccellenti e generalmente negli atleti avanzati quest’ultima è maggiore di 60 ml/kg/min (Rowell et al., 1993).
Intensità sub-massimale in soggetti non allenati e ricreativamente attivi
Numerosi studi sono stati condotti su soggetti sedentari, che hanno svolto attività di endurance con una intensità sub-massimale con allenamenti quotidiani.
In tali studi sono emersi generalmente aumenti della capacità di lavoro che sono stati attribuiti ad un maggiore utilizzo dell’ossigeno da parte dei muscoli (adattamento periferico) e ad un migliore apporto di ossigeno a quest’ultimi (adattamento centrale). Da questo ne deriva una frequenza cardiaca più bassa nel pre-allenamento in combinazione con un aumento del volume plasmatico e sanguigno (ipervolemia) con conseguente aumento della gittata cardiaca (Green et al.,1990).
Questi ultimi sono adattamenti che avvengono nel breve termine, anche 3/4 giorni, tuttavia adattamenti per migliorare la Vo2max richiedono periodi più lunghi che vanno dai 12 ai 38 giorni con una frequenza settimanale di allenamento che va dalle 3 a 5 volte a settimana.
Si può affermare che l’ipossia cellulare in soggetti sedentari porta ad un aumento dei fattori sopracitati, tuttavia quando l’allenamento di endurance con un’intensità sub-massimale diventa frequente, non si determinano miglioramenti della prestazione, anche aumentando il volume di allenamento (Londeree et al.,1997;Costill et al., 1998).
In questi soggetti si richiede uno stimolo diverso di allenamento e non solo l’aumento del volume di lavoro.
Intensità sub-massimale in soggetti allenati
Per quanto riguarda gli atleti, le variabili elencate nel paragrafo precedente non hanno nessun cambiamento in risposta ad un allenamento di endurance sub-massimale.
Pare che una volta raggiunta una Vo2max > 60 ml/kg/min l’endurance performance non è migliorata da un allenamento sub-massimale.
A conferma di quanto detto è molto interessante uno studio condotto da Costill e colleghi, che ha dimostrato che, raddoppiando la distanza di nuoto da 4266 mt a 8979 mt in un periodo di 10 giorni di allenamento, mantenendo un’intensità media, nei nuotatori non vi si presentava alcun miglioramento della prestazione, della capacità aerobica e del citrato-sintasi a livello del deltoide.
Si può definire questa situazione come un plateau metabolico, risultato di un allenamento di endurance sub-massimale.
HIT, soggetti sedentari e occasionalmente attivi
Hickson e colleghi hanno dimostrato che in soggetti sedentari potrebbe essere possibile aumentare in maniera esponenziale la Vo2max con un allenamento ad alta intensità di 10 settimane alternando un giorno di allenamento con 40 minuti di HIT con la bike e un giorno di 40 minuti di running con la stessa modalità, con una frequenza di 6 giorni a settimana.
Questo protocollo di lavoro è stato svolto in 8 soggetti sedentari o occasionalmente attivi ed in 4 di questi la Vo2max si è avvicinata a 60 ml/kg/min.
Molti studi hanno dimostrato che con l’HIT si può aumentare l’ossidazione dei grassi rispetto ad un allenamento continuo al 50% della Vo2max.
Conclusioni e applicazioni pratiche
Molte sono le conferme e le informazioni che la letteratura suggerisce su HIT e allenamento continuo in soggetti sedentari, viceversa sono molto ridotte le ricerche condotte su soggetti altamente allenati.
Di certo vi è che aumentare il volume di lavoro sub-massimale in questi soggetti non porta benefici nei termini di prestazione e aumento della Vo2max. Usare protocolli HIT potrebbe, invece, apportare benefici in questa categoria di soggetti.
Dall’articolo, inoltre possiamo dedurre che per quanto riguarda atleti o soggetti che svolgono attività di sprint e breve durata, come ad esempio nei 40 mt, traggono beneficio da protocolli SMIT piuttosto che HIT. Questa considerazione è di notevole importanza per tutti gli sprinter, per nuotatori che svolgono la loro attività nei 50 metri e negli sport dove sono necessari scatti veloci e di breve durata.
In letteratura non vi sono molti studi che parlano del protocollo SMIT, tuttavia quest’ultimo può essere un’arma in più da parte di coach e preparatori atletici per migliorare le performance dei propri atleti, che spesso si focalizzano su protocolli di lavoro sub-massimali o su HIT per aumentare la Vo2max dei propri atleti.
Sarà sicuramente interessante seguire gli aggiornamenti della ricerca e approfondire l’argomento soprattutto per quanto concerne atleti di alto livello.
Stefano Auletta
Note sull’autore
Docente Associato Training Lab Italia
Dottore in Scienze delle Attività Motorie e Sportive
Certificazione Functional Training Training Lab Italia
Certificazione Metodi di Valutazione Funzionale Training Lab Italia
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Bibliografia
- Billat et al.: INTERVAL TRAINING FOR PERFORMANCE: A SCIENTIFIC AND EMPIRICAL PRACTICE. SPECIAL RECOMMENDATIONS FOR MIDDLE AND LONG DISTANCE RUNNING (2001). Sports Medicine.
- Denadai et al.: INTERVAL TRAINING AT 95% AND 100% OF THE VELOCITY AT VO2 MAX: EFFECTS ON AEROBIC PHYSIOLOGICAL INDEXES AND RUNNING PERFORMANCE (2006). Applied Physiology, Nutrition and Metabolism.
- Laursen et al.: THE SCIENTIFIC BASIS ON HIGH- INTENSITY INTERVAL TRAINING (2002). Sports Medicine
- Barnett et al.: MUSCLE METABOLISM DURING SPRINT EXERCISE IN MAN: INFLUENCE OF SPRINT TRAINING (2004). Journal of Medicine in Sport.
- Green et al.: EFFECT OF SHORT-TERM TRAINING ON CARDIAC FUNCTION DURING PROLONGED EXERCISE (1990). Medicine and Science in Sports and Exercise
- Londeree et al.:EFFECT OF TRAINING LACTATE/VENTILATORY TRESH-OLD: A META ANALYSIS (1997). Medicine and Science in Sports and Exercise.
- Costill et al.: EFFECTS OF REPEATED DAYS OF INTENSIFIED TRAINING ON MUSCLE GLYCOGEN AND SWIMMING PERFORMANCE (1997). Medicine and Science in Sports and Exercise
- Hickson et al.: TIME COURSE OF THE ADAPTIVE RESPONSES OF AEROBIC POWER AND HEART RATE TO TRAINING (1981). Medicine and Science in Sports and Exercise
- Rowell et al.: HUMAN CARDIOVASCOLAR CONTROL (1993). New York: Oxford University Press